Ditta Dott.ssa Rosalba
Neuropsicomotricista
dell'Età Evolutiva
Cell.  320.8494590

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ANUPI TNPEE
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Nell'intervista mi sono state fatte queste:

  1. CHE COSA SI INTENDE PER PSICOMOTRICITA’?

 

 

La psicomotricità è un percorso di conoscenza di sé che aiuta i bambini a esprimersi e socializzare. E’ composta da un insieme di attività che vengono proposte considerando sempre la spontaneità e l’unicità del bambino.

 

Ogni bambino ha una sua naturale predisposizione ad agire e a giocare. 
Lo psicomotricista costruisce un itinerario di maturazione per aiutare il bambino a rielaborare progressivamente le proprie emozioni e a maturare, a livello cognitivo e corporeo.

 

Lo fa attraverso il gioco, inteso non come pratica fine a se stessa, ma come uno spazio fisico e mentale del bambino che, giocando, entra in contatto con le sue emozioni, le sue esperienze, i suoi desideri, le sue problematiche e i suoi limiti. Lo psicomotricista non dice al bambino cosa deve fare, al contrario lo aiuta a sviluppare la sua unicità con piccoli gesti e parole.

 La neuro e psicomotricità  invece  viene prescritta ai bambini con disabilità, ritardi e disturbi di sviluppo, tra i quali autismo. Il terapista lavora in equipe in strutture pubbliche, private e/o ospedaliere. Si tratta di un lavoro complesso che comprende il coinvolgimento di tutta la famiglia. Per esempio quando si occupa di un bambino autistico, il lavoro del terapista consiste nel conoscerlo, nello scoprire i suoi punti di forza, nel trovare modi di comunicazione alternativi al linguaggio e poi "spiegare ai genitori come 'funziona' il bambino e come comunicare con lui " dice Bonifacio.

 

"Aiuta quindi non solo il piccolo, ma tutta la famiglia a trovare un nuovo equilibrio.

 

Il professionista è un terapista della neuro e psicomotricità dell'età evolutiva. Per avere questo titolo deve aver seguito un corso di laurea di primo livello presso la facoltà di medicina.

 

  1. QUAL E’ RAPPORTO INTERCORRE TRA MENTE E ESPRESSIONE CORPOREA

 

La stretta relazione fra corpo e mente, valida soprattutto nel bambino, ma non solo, chiarisce come sia proprio attraverso l’agire corporeo, con tutte le sue modalità espressive e comunicative non verbali, che i soggetti pensano, imparano, creano e si relazionano. Ecco che la psicomotricità riguarda l’uomo nella sua totalità, nel suo rapporto con se stesso e con l’ambiente. Per questi motivi, essa si applica sia a livello individuale che di gruppo e in qualsiasi stadio: età evolutiva, età adulta, anziano. L’intervento psicomotorio si presenta come un mezzo per favorire e migliorare le risorse dell’individuo, le sue potenzialità e per creare un’armonia ed una presa di consapevolezza delle capacità, oltre che dei limiti di ciascun soggetto. La presa in carico psicomotoria mira a mobilizzare e potenziare ogni possibile risorsa della persona e del suo contesto, oltre che intervenire sul sintomo, sul disagio o sul deficit nel rapporto con l’individuo, gli oggetti e gli altri. Altro ambito di applicazione della psicomotricità è quello preventivo-educativo che si realizza soprattutto in gruppo. In questo caso, l’obiettivo è quello di prevenire o di evidenziare eventuali problematiche latenti o a rischio e di favorire, attraverso il lavoro nel gruppo, lo sviluppo del soggetto nella sua totalità e interdipendenza fra agire, pensare, comunicare, sentire, percepire.

 

  1. QUANTO E’ IMPORTANTE IL MOVIMENTO NELLA CRESCITA PSICO FISICA NEL BAMBINO

 

Fin dalla vita intrauterina il bambino sperimenta il suo corpo e le sue potenzialità attraverso dei movimenti propedeutici alla vita extra uterina. In questo modo lui potrà apprendere alcune gestualità, si svilupperanno in questo modo alcuni pensieri, stili di comportamento e cosa ancora più importante ci sarà lo sviluppo del temperamento, che è ben diverso dal carattere, che gli permetterà di determinare il tipo di relazioni esterne future.

Mediante il gioco il bambino impara moltissime cose che gli permettono di diventare grande, l’attenzione all’aspetto psicologico non va mai scordata, perché ogni nostro   “ no”, ogni commento negativo e banalizzante verso quello che sta facendo significa condannare il bambino ad una vita infelice.

L’attività ludica, in fase  evolutiva dell’uomo e di alcuni animali, è la forma più naturale e spontanea di socializzazione, mediante il gioco si possono capire sia le forme di apprendimento che il livello di crescita e maturazione del bambino, in quanto attraverso il gioco potrà evidenziare anche la sua necessità di comunicare ed esprimersi sia con gli adulti che con gli altri compagni.

Per capire la modalità di approccio al gioco però è fondamentale sapere le tappe di sviluppo , ideate da Piaget.

Il bambino innanzitutto si affaccia al gioco attraverso l’imitazione differita, cominciano a imitare qualcosa che l’adulto fa più o meno abitualmente, meccanismo di fondamentale importanza durante tutta la seconda infanzia.

Si passerà poi alle fasi del gioco simbolico, il classico: “ far finta di…”, via libera qui a travestimenti di ogni tipo, spesso il contesto è molto fantasioso.

Verso i 2-3 anni però si sviluppa il fenomeno dell’egocentrismo intellettuale, ovvero non concepisce l’altro ed il suo punto di vista pur avendolo vicino come compagno di gioco, le sue azioni poi sono irreversibili, quindi se fa una cosa non potete dirgli rifai quello che hai appena fatto perché non lo saprebbe capire, meglio ripetergli quelli che deve fare.

Dal punto di vista motorio il bambino comincia a maturare alcuni comportamenti motori di una certa complessità:

Il comportamento locomotorio, ovvero si parte da un movimento semplice come il camminare per arrivare alla corsa, salti a balzi, calciare una palla, farla rimbalzare, ai comportamenti manipolativi, quindi un maggiore controllo della mano, ad una maggiore lateralizzazione.

Alcune ricerche etologiche e psicologiche suggeriscono che il gioco è l’unico  potente mediatore che l’essere umano possiede per attivare apprendimento in ogni periodo della vita, che esso stimola la formazione della personalità, che prepara ad assimilare regole e migliora l’integrazione sociale. Il gioco, oltre ad essere ambito di sviluppo della creatività, migliora il processo di apprendimento, sinonimo di apprendimento, in quanto comporta l’attivazione dei piani motorio, emotivo, intellettuale, relazionale e sociale. Il gioco può avvicinare culture diverse, creando spazi di relazione che permettono la comprensione ed il superamento di differenze culturali.

 

  1. SONO RIVOLTE A BAMBINI CON ESIGENZE PARTICOLARI O SONO UTILI ALLO SVILUPPO DI TUTTI I BAMBINI?

 

  1. IN QUALE FASCIA D’ ETA’ E’ CONSIGLIATO FAR FREQUENTARE A UN BAMBINO UN CORSO DI PSICOMOTRICITA’?

La Psicomotricità  è in grado di effettuare interventi educativi in aiuto a soggetti di ogni età:

Primi mesi di vita                                                                                                                                                                                                                                                                  

         lo specialista si avvale di metodi e tecniche che aiutano a preparare i piccoli a un'evoluzione propriocettiva necessaria e adeguata ai fini di abilità e sicurezze nell'equilibrio in postura eretta; richiede esperienze contrattive e decontrattive muscolari, graduali assunzioni di posture che implicano movimenti settoriali e globali e attività capaci di far raggiungere l'equilibrio dinamico e la deambulazione, presupposti fondamentali per l'indipendenza del corpo in movimento.

Bambini e adolescenti:

                                                                                                                                                                              In ambito preventivo, attraverso l'educazione psicomotoria del bambino, specie per i bambini del nido e della scuola materna. Nella scuola primaria, l'apporto psicomotorio funzionale è un aiuto prezioso per favorire i prerequisiti necessari agli apprendimenti scolastici.         

In ambito rieducativo, per bambini con ritardi e/o difficoltà di coordinazione motoria, di organizzazione dell'atto intenzionale (disprassie), disturbi specifici   dell'apprendimento (DSA), iperattività, difficoltà comunicativo-linguistiche, patologie e sindromi cliniche specifiche che alterano l'utilizzazione, la percezione  e il coinvolgimento del corpo nella vita quotidiana. In accordo con la famiglia è previsto un coordinamento con la scuola al fine di favorire un' utile   integrazione tra l'intervento di aiuto dello specialista e l'iter educativo scolastico.

In età adulta:                                                                                                                                                                                                                                                                         l'intervento psicomotorio funzionale fa da supporto a tutti gli stati di difficoltà legati all'uso e alla percezione del proprio ed è volto a: far fronte a situazioni di disagio socio-emotivo-relazionale; mantenere l'equilibrio psicofisico; orientare la persona verso la conoscenza di sè; prevenire, individuare e sciogliere le tensioni attraverso percorsi di distensione e rilassamento corporeo. Il percorso è rivolto a chiunque voglia prendersi cura di sè e del proprio benessere, trovare un momento di pausa rispetto agli impegni quotidiani, far fronte a sensazioni di stanchezza, insicurezza, ansia, stress, impacci motori, faticabilità. In altri casi l'intervento psicomotorio si rivolge a persone con cerebrolesioni acquisite in seguito ad ictus, traumi cranici, e anche a malati psichiatrici affetti da nevrosi e psicosi.

Nell'anziano:                                                                                                                                                                                                                                                                                         la psicomotricità funzionale aiuta a rallentare il processo di involuzione motoria; mentre quando è rivolto all'anziano affetto da diverse forme di demenza (in particolare la malattia di Alzheimer) l'intervento psicomotorio sia individuale che di gruppo è un aiuto prezioso per mantenere e talvolta risvegliare le capacità residue di interesse per l'azione pratica e per l'interazione sociale.

  1. COME SI STRUTTURA UN INTERVENTO DI NEUROPSICOMOTRICITA’?

 

 La valutazione neuropsicomotoria è parte fondamentale della presa in carico del bambino e della sua famiglia. Inizia con il primo colloquio tra i genitori e il terapista in cui viene raccolta l’anamnesi famigliare e del bambino e in cui i genitori raccontano il loro vissuto e le problematiche emerse che li spingono alla ricerca di un trattamento neuro psicomotorio. Dopo questo colloquio conoscitivo, si fissano alcuni incontri con il bambino di osservazione.

L’osservazione nella sua globalità deve evidenziare la capacità e il potenziale di quel bambino di stabilire un rapporto con l’altro; eventuali inibizioni, interessi e desideri; il modo in cui il soggetto vive se stesso; il modo come si muove ed agisce; se finalizza i suoi movimenti; se e come comunica utilizzando i mezzi che ha a disposizione, che vanno dall’espressività motoria, verbale e grafica. Vengono somministrati dei test specifici in relazione all’ età del bambino e alle sue difficoltà. Si tratta di protocolli sono standardizzati che si basano su un punteggio che identifica la “distanza” della linea di sviluppo del bambino rispetto alla linea della norma.

Al termine degli incontri viene fissato un colloquio di restituzione con i genitori nel quale il terapista racconta ciò che emerso durante le sedute valutative e viene rilasciata una relazione scritta. Viene inoltre proposto e spiegato il progetto riabilitativo individuale e personalizzato, che deve necessariamente essere compreso e condiviso dai genitori.

 

Il metodo di osservazione è stabilito su una sola base: cioè che i bambini possano liberamente esprimersi e così rivelarci bisogni e attitudini che rimangono nascosti o repressi quando non esista un ambiente adatto a permettere la loro attività spontanea.

  1. COME UN NEUROPSICOMOTRICISTA PUO’ AIUTARE I BAMBINI CON DISABILITA’?

  1. QUALE DISABILITA’ SI POSSONO TRATTARE?

La terapia neuropsicomotoria individuale è utile quando si verificano blocchi o rallentamenti nel processo di maturazione dei bambini: disturbi dell’espressività motoria, ritardi dello sviluppo psicomotorio, ritardi cognitivi, disturbi e ritardi del linguaggio, difficoltà relazionali (chiusure, aggressività o inibizione), difficoltà comportamentali. Viene proposta come terapia riabilitativa da 0 a 8 anni.

 

La maggior parte dei bambini che necessita di un percorso individuale soffre di:

 

ritardo psicomotorio, armonico o disarmonico;

difficoltà nella sfera relazionale (disturbo generalizzato dello sviluppo, autismo…);

disturbi specifici della funzione motoria (disturbo della coordinazione motoria, disprassia…);

ritardo mentale, primario o secondario ad alterazioni o sindromi genetiche;

disturbi della sfera emotiva;

disturbi comportamentali;

disturbi percettivi e nell’organizzazione visuo-spaziale;

instabilità attentiva e iperattività;

inibizione psicomotoria.

 

  1. PSICOMOTRICITA’ E AUTISMO, COME E QUANDO TRATTARLO?

Spesso quando si parla di autismo in ambito clinico, non si fa riferimento ad un unico quadro specifico, ma si parla di spettro autistico.

 

Infatti la parola spettro racchiude e indica diversi sottogruppi, o meglio diverse forme di manifestazione di un disturbo di base. Tali forme sono accomunate da alcune caratteristiche, ma si differenziano per altre. Ad esempio, accanto al Disturbo Autistico, sono presenti anche forme riconducibili allo spettro autistico quali la sindrome di Asperger e la sindrome di Rett.

 

Nello specifico, il Disturbo autistico (DA), si caratterizza per tre aspetti generalmente compromessi. È importante precisare che queste caratteristiche si modificano in rapporto all’età del bambino ed al livello di sviluppo. Eccole qui elencate e approfondite:

 

Compromissione dell’interazione sociale

Quest’aspetto si riconduce ad una difficoltà o atipia dei bimbi con autismo di relazionarsi agli altri. Questa problematica si manifesta già nel primo anno di vita, rivelandosi nella mancanza dell’uso di un canale comunicativo privilegiato in questo periodo: lo sguardo rivolto all’altro. Molti genitori di bimbi con autismo riportano, sin dalle prime fasi di vita del piccolo, la difficoltà a catturare l’attenzione del bambino, la sfuggenza del suo sguardo oppure la presenza di uno sguardo assente.

 

Oltre al contatto visivo, spesso viene riferita la difficoltà nel tenere in braccio il bambino; questo può avvenire per una scarsa tolleranza del contatto fisico del piccolo o per una sua incapacità ad adattarsi al corpo dell’altro, provocando un’alterazione in quello che si può definire dialogo tonico (adattamento posturale reciproco).

 

Nel corso del tempo, la difficoltà nel relazionarsi con gli altri accresce e si arricchisce: spesso viene riferito dagli adulti che seguono il bambino nella quotidianità, in primis i genitori, che il piccolo non considera gli altri bambini, tende ad isolarsi, non risponde se chiamato e non condivide i propri giochi con l’altro, né richiede la sua presenza. Si tratta di un rapporto con l’adulto che è limitato spesso ad una funzione richiestiva: richiedo la presenza della mamma perché ho un bisogno che devo soddisfare.

 

Ad esempio, il bambino giocherà da solo con le macchinine, senza mostrare il desiderio di condividere il proprio gioco con l’adulto; se tuttavia ha sete, si dirigerà verso la mamma (spesso afferrandone la mano e senza guardarla negli occhi), portandola verso l’oggetto desiderato (in questo caso una bottiglia d’acqua) al fine di ottenerlo. Il bambino sa richiedere ma non sa condividere i propri interessi, i propri bisogni, le proprie emozioni.

 

Compromissione della comunicazione (verbale e non verbale)

La mancata acquisizione delle competenze linguistiche previste per l’età è spesso ciò che più di ogni altra difficoltà allarma i genitori e spesso dà inizio a quel processo di consapevolezza delle difficoltà del proprio bimbo.

 

Ovviamente non è detto che se un bambino non parla ha necessariamente un Disturbo Autistico, anzi! Come stiamo vedendo, a caratterizzare il Disturbo Autistico sono molteplici difficoltà; tuttavia l’aspetto linguistico è un’importante segnale da non sottovalutare e degno di essere approfondito.

 

Nello specifico, per i bimbi con autismo, la mancanza del linguaggio espressivo non è sostituita da altri canali non verbali; in altre parole, il bambino non solo non parla ma non utilizza neanche i gesti, la mimica, lo sguardo in funzione comunicativa.

 

Frequentemente, inoltre, i genitori riportano che il bambino non risponde se chiamato oppure che non ascolta le richieste dell’adulto. Spesso il mancato interesse per ciò che l’altro richiede o comunica viene scambiato per un deficit uditivo. Necessario a tal proposito è eseguire un approfondimento che attesti che il bambino non ha problemi uditivi. Superata questa fase, è importante specificare che il mancato investimento del piccolo nell’uso del linguaggio o nell’ascolto di richieste è un’altra manifestazione del disinteresse del bambino per l’altra persona o per l’ambiente.

 

Infatti il linguaggio costituisce una forma di scambio e di interazione con l’altro; se manca l’interesse per relazionarsi a “ciò che è altro da me”, non cerco di apprendere nessuna modalità di interazione per farlo, linguaggio compreso.

 

Presenza di comportamenti atipici e interessi bizzarri, ripetitivi e stereotipati

Con questa dicitura ci si riferisce a tutti quei movimenti, quei gesti e quelle azioni che vengono ripetute frequentemente dal bambino e che non sono legate al contesto in cui il piccolo si trova.

 

Nello specifico, il bambino può sviluppare un particolare interesse anomalo perché intenso e spesso focalizzato su un particolare (es. osservare il particolare di un oggetto come la ruota di una macchinina e continuare a farla girare senza uno scopo apparente); o ancora il piccolo potrebbe acquisire rigide abitudini o rituali che, se non rispettati, ne causano una crisi di pianto (es. un’attività quotidiana come quella di vestirsi deve essere svolta sempre nello stesso modo: prima i pantaloni, poi le calze, poi la maglia, poi il maglione,ecc…).

 

Infine un’altra atipia comportamentale è legata a dei manierismi motori, ripetitivi e stereotipati, che il bambino esegue senza uno scopo (es. dondolarsi, girare su sé stesso, ecc…). Tutti questi comportamenti risultano anomali se intensi, ripetitivi ed eseguiti sempre nello stesso modo.

 

Abbiamo visto quindi che numerosi sono gli aspetti che caratterizzano un quadro di Disturbo Autistico. È importante ricordare che vi possono essere altre caratteristiche che rendono più complessa questa patologia (es. ritardo mentale o epilessia), ma che non si associano necessariamente al Disturbo Autistico.

  1. C’E’ SUFFICIENTE SPAZIO PER LE ATTIVITA’ MOTORIE NELL’ ORARIO SCOLASTICO?

Assolutamente no

 

  1. QUALI ATTIVITA’ ANDREBBERO POTENZIATE?

 

  1. COME DOVREBBE ESSERE ALLESTITA UN’ AREA DEDICATA ALLA PSICOMOTRICITA’?

 

  1. CHE TIPO DI GIOCHI E ATTREZZI UTILIZZARE?